L’esistenza di Dio e ciò che comporta per noi - The existence of God and what it entails for us
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29 giugno 2020
L’esistenza
di Dio e ciò che comporta per noi
The existence of God and what it
entails for us
Il
filosofo Søren Kierkegaard scrisse:
“Se
Dio non esiste, dimostrarne l’esistenza è una sciocchezza; ma se
Dio esiste, dimostrarne l’esistenza è una bestemmia”.
Parrebbe
che occorre credere e basta.
Stando
a Kierkegaard, nel cercare le prove dell’esistenza di Dio, o si
sarebbe sciocchi oppure bestemmiatori.
Kierkegaard
era un credente.
Credeva
nell’esistenza di Dio e basta.
Questa
impostazione filosofica sembra non fare una piega.
E –
per la verità – ci fa un po’ specie mettere in discussione
l’esistenza di Dio.
“Pensano
tra sé gli incoscienti: ‘Ma dov’è Dio?’” (Sl 14:1, PdS).
Discutere
con gli stolti è inutile:
“Non
dire parole sagge a uno stolto, perché disprezzerà i tuoi
discorsi”.
Dio
esiste?
“Non
rispondere a una domanda stupida e non somiglierai allo stolto che
l’ha fatta”. – Pr 23:9;26:4, PdS.
Condividiamo
appieno l’affermazione filosofica di Kierkegaard, tuttavia dobbiamo
fermarci lì.
Ovvero
al fatto che Dio esiste.
Se
iniziamo a domandarci in quale Dio si dovrebbe credere e perché, le
cose si complicano.
Non
esistono forse migliaia di religioni?
Ciascuna,
ovviamente, asserisce di avere l’unica verità.
Il
semplice, seguendo un popolare quanto sciocco modo di pensare (o di
non pensare?), asserisce che ognuno ha la sua verità perché ci sono
più verità.
Questo
è un assurdo.
La
verità è sempre una e una sola.
Non
esistono – né potrebbero esistere – più verità relative ad
un’unica realtà.
Possono
al massimo esserci più percezioni di una stessa realtà,
ma la realtà vera è una e una soltanto.
Se una
persona dice che è bianco e un’altra dice che è nero, la verità
può avere solo una tra queste quattro possibilità: è
bianco oppure è nero oppure è di un altro colore oppure è
incolore.
Non c’è
scampo.
Il
fatto che si percepisca in modo diverso può dipendere solo dalle
facoltà percettive soggettive, ma queste nulla tolgono alla verità
oggettiva.
Mentre,
quindi, ci sembra del tutto inutile dover dimostrare che Dio esiste,
riteniamo che sia perfino doveroso dare le ragioni di
questa fede.
Questo
duplice atteggiamento crediamo sia ben espresso dalla Bibbia:
● “Ciò che si può conoscere di Dio è visibile a tutti: Dio stesso l’ha rivelato agli uomini. Infatti, fin da quando Dio ha creato il mondo, gli uomini con la loro intelligenza possono vedere nelle cose che egli ha fatto le sue qualità invisibili, ossia la sua eterna potenza e la sua qualità divina. Perciò gli uomini non hanno nessuna scusa”. – Rm 1:19,20, PdS.
● “Siate sempre pronti a rispondere a quelli che vi chiedono spiegazioni [“a chiunque vi chieda ragione”, TNM] sulla speranza che avete”. – 1Pt 3:15, PdS.
Circa
duemila anni fa, Saulo di Tarso (più noto come l’apostolo Paolo),
si trovava ad Atene, in Grecia.
“Alcuni filosofi epicurei e stoici conversavano con lui. Alcuni
dicevano: ‘Che cosa dice questo ciarlatano?’. E altri: ‘Egli
sembra essere un predicatore di divinità straniere’ . . . Presolo
con sé, lo condussero su nell’Areòpago, dicendo: ‘Potremmo
sapere quale sia questa nuova dottrina che tu proponi? Poiché tu ci
fai sentire cose strane. Noi vorremmo dunque sapere che cosa
vogliono dire queste cose’”. – At 17:18-20.
Paolo
colse l’occasione al volo.
“Paolo, stando in piedi in mezzo all’Areòpago, disse: ‘Ateniesi, vedo che sotto ogni aspetto siete estremamente religiosi. Poiché, passando, e osservando gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto: Al dio sconosciuto. Orbene, ciò che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo; e non è servito dalle mani dell’uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa. Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti, in lui viviamo, ci moviamo, e siamo, come anche alcuni vostri poeti hanno detto: ‘Poiché siamo anche sua discendenza’”. – At 17:22-28.
Nell’annunciare
a quegli ateniesi il Dio unico della Bibbia, Paolo non suggerì
l’idea che occorreva aver fede e basta.
Evidenziò
che Dio “ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso” e
“che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa”.
Nell’affermare
che l’umanità fu creata da Dio si avvalse anche citazioni tratte
da opere di ‘loro poeti’ (tratte dai Fenomeni di
Arato e dall’Inno a Zeus di Cleante).
Paolo
usò, insomma, delle argomentazioni sull’esistenza di
Dio, in cui credeva fermamente.
Con un
paradosso, Georg Cristoph Lichtenberg disse: “Grazie a Dio, sono
ateo”.
Fu poi
seguito a ruota da Errico Malatesta, Luis Bunuel e Woody Allen.
Al di
là delle battute, chi si definisce ateo dovrebbe lui dimostrare
che Dio non esiste.
In
passato con il termine ateo i fedeli di una certa religione
semplicemente indicavano, spregiativamente, gli appartenenti a
religioni o fedi diverse dalla propria.
I
fedeli della religione romana chiamavano infatti atei i “cristiani”.
Nelle
culture teocratiche è ateo chi non crede nel Dio di quella cultura.
Nelle
nazioni comuniste in cui vigeva un “ateismo di stato”, al
contrario, erano perseguitate le persone religiose.
Esistono
poi atei dichiarati che credono in concetti come “forza universale”
o simili; costoro conservano elementi di religiosità, pur non
credendo in un Dio.
Il
termine “ateo” indica l’idea di chi afferma positivamente che
l’esistenza di una divinità sia impossibile (ed eventualmente
sappia anche dimostrarlo).
Pare
proprio, però, che finora nessuno mai sia riuscito a dimostrare che
Dio non esista.
Un vero
ateo – ovvero uno che sappia dimostrare che Dio non
esiste -, ecco, un vero ateo è lui che non esiste.
Si può
parlare allora più correttamente di agnosticismo.
Vi
appartengono tutti coloro che sulla questione dell’esistenza o
inesistenza di Dio sospendono il loro giudizio o si astengono
dall’esprimerlo.
Semplicemente
dicono che non sanno (àghnostos, ἄγνωστος,
“sconosciuto”; da cui “agnostico”).
Non
conoscere o non sapere una cosa non significa necessariamente che
quella cosa non sia vera.
Semplicemente
non la si sa.
Abbiamo
dunque i sedicenti atei che non sanno né potrebbero dimostrare
l’inesistenza di Dio e abbiamo gli agnostici che semplicemente non
si pongono la questione.
Ma –
per amore di ragionamento – l’esistenza di Dio è dimostrabile?
Quale
Dio?
Occorre
definire intanto la parola “Dio”.
Qui
incontriamo immediatamente dei problemi. Infatti, una nozione
universale di Dio non è possibile, perché la parola “Dio” (e il
suo equivalente nelle altre lingue) è stata usata in modi molto
differenti lungo tutto il corso della storia umana.
Per i
romani e per i greci la parola più appropriata sarebbe stata “dèi”,
dato che per loro non c’era un solo dio.
Oggigiorno,
in oriente vengono ancora adorati milioni di dèi.
Di
fatto il politeismo esiste ancora.
Anche
rimanendo in tema di monoteismo i problemi non scompaiono.
I
“cristiani” si definiscono monoteisti.
Ma i
cristiani sia cattolici che protestanti credono in un “Dio”
trino, una Sostanza in tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Varie chiese derivate dalla Chiesa di Dio Universale credono
addirittura in due Dèi, il Padre e il Figlio.
Non si
tratta solo di quantità, per così dire.
Si
tratta anche di qualità.
I
Testimoni di Geova, la Chiesa del Regno di Dio e le Chiese Cristiane
di Dio sono di certo monoteiste: credono in un solo Dio
(non trino).
Ma la
domanda è: In quale Dio?
Anche i
mussulmani sono rigidamente monoteisti, ma in quale Dio credono?
La
nostra indagine non può – e non deve, per ora – mirare a
dimostrare l’esistenza di un Dio particolare.
Riformuliamo
allora la domanda in modo più corretto: Esiste la Divinità, sia
essa un Dio unico o una pluralità di dèi?
Pur
definendo così la questione, si prospetta un nuovo problema: la
Divinità si rivela agli esseri umani?
Del Dio
degli ebrei, che pur si rivela, la Bibbia afferma:
“Nuvole
e oscurità lo circondano” (Sl 97:2);
“Fece
quindi delle tenebre il suo nascondiglio”. – Sl 18:11, TNM.
Il già
citato Paolo affermò che
“ciò
che si può conoscere di Dio è visibile a tutti” perché
“Dio
stesso l’ha rivelato agli uomini” (Rm 1:19,20, PdS).
Si
noti: “Ciò che si può conoscere”.
Tutto
“ciò che si può conoscere” lo si può conoscere solo
perché “Dio stesso l’ha rivelato”. Per questo tipo di
conoscenza non occorre chissà quale sapienza donata dall’alto:
“Gli
uomini con la loro intelligenza” sono in grado di conoscere.
Ma la
Divinità, per definizione, è soprannaturale e ha poteri
soprannaturali.
Sono
proprio queste capacità sovrannaturali di Dio che vengono opposte
alla possibilità scientifica di investigazione.
Se la
Divinità si tiene nascosta, come possiamo conoscerla?
Gesù
stesso disse che
“nessuno
conosce il Padre [Dio], se non il Figlio, e colui al quale il Figlio
voglia rivelarlo” (Mt 11:27).
Se Dio
non vuole rivelarsi, non si rivela.
Di
fatto – afferma Gesù – Dio non si rivela sempre e a chiunque.
Tornando
alla semplice esistenza di Dio, i sostenitori del disegno
intelligente credono che esistano prove che indicano l’esistenza
di un creatore intelligente.
Uno
scrittore biblico argomenta in modo semplice:
“Certo
ogni casa è costruita da qualcuno, ma chi ha costruito tutte le cose
è Dio” (Eb 3:4).
Una
casa non viene all’esistenza da sola: qualcuno, intelligentemente,
la progetta e la costruisce.
L’universo
non è certo da meno di una casa.
Tuttavia,
questa deduzione viene rigettata dalla comunità scientifica, che
parla del “Dio dei vuoti”: dato che la scienza non sa spiegare
tutto, il ruolo di “Dio” è confinato ai vuoti lasciati
dalle spiegazioni scientifiche della natura.
Per
fare un esempio, le prime descrizioni religiose di oggetti ed eventi
(sole, luna e stelle; tuoni e fulmini) ponevano tutto ciò nel reame
delle cose create o controllate dalle divinità. Man mano che la
scienza trovava spiegazioni alle sue osservazioni nei reami di
astronomia, meteorologia, geologia, cosmologia e biologia, il bisogno
o necessità logica di un Dio per spiegare quei fenomeni venne
progressivamente ridotto, andando a occupare i vuoti.
Dato
che i fenomeni naturali in precedenza spiegati con la Divinità si
stanno restringendo, le spiegazioni teistiche o divine per qualsiasi
fenomeno naturale diventano meno plausibili. In ogni caso, le teorie
sull’origine della vita e sul perché l’universo esista,
rimangono problemi notevoli per cui non si è ancora formato un
consenso scientifico.
Rimangono
dei vuoti.
Triste
a dirsi, gli scienziati che non credono all’esistenza di Dio sono
spesso indotti a tale atteggiamento proprio dalla religione.
La
Divinità che le varie religioni presentano è spesso
frutto di concezioni umane o di interpretazioni umane di libri sacri,
Bibbia compresa.
Spesso
è difficile accettare il Dio che le religioni presentano.
Fede
o conoscenza?
Non si
può dire di conoscere qualcosa solo perché ci si crede.
La
conoscenza è una cosa, la credulità un’altra.
Altra
cosa ancora è la fede.
La fede
esclude forse l’indagine e il rigore scientifico?
Certo
che no.
Ciò in
cui si crede deve essere anche vero.
Ma il
fatto è che non sempre l’indagine rigorosamente scientifica è in
grado di dare dimostrazioni nel campo della fede.
Non
perché le dimostrazioni non siano possibili, ma perché la
conoscenza scientifica non ci è ancora arrivata.
Si
potrebbero riempire chilometri e chilometri di scaffali con i libri
di scienza ormai obsoleti.
Affidarsi
alla scienza di oggi per avere una prova dell’esistenza di Dio
sarebbe come essersi affidati al primo prototipo della bicicletta per
andare sulla luna.
Si
doveva attendere che l’uomo fosse in grado di costruire l’Apollo
11, per andare sulla luna.
Per ora
la scienza si deve limitare a studiare la creazione, non il Creatore.
E Dio
solo sa quanto essa abbia da imparare e per quanto tempo ancora debba
studiare.
Non
tutti gli scienziati sono agnostici.
Einstein
era credente.
Lo
scienziato italiano Zichichi è credente.
Il
matematico italiano Vincenzo Flauti (1782-1863) pubblicò perfino una
dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio.
George
Boole (1815-1864), inventore dell’algebra della logica, espresse in
formule la dimostrazione dell’esistenza di Dio (The Laws of
Thought, cap. XIII, MacMillan, 1854).
Noi
riteniamo che la matematica in sé sia già una dimostrazione
dell’intelligenza geniale di Dio.
Tra gli
gnostici che non possono ignorare che l’universo stia lì a
dimostrare un Creatore, ci sono coloro che assurdamente ipotizzano
che l’universo sia lì da sempre.
Eludono
il problema, spostandolo nel remoto infinito passato.
In ogni
caso è dimostrabile che l’universo non esiste da sempre.
La
prova sta nella radioattività.
La
radioattività, o decadimento radioattivo, è un insieme di processi
tramite i quali dei nuclei atomici instabili (nuclidi) emettono
particelle subatomiche per raggiungere uno stato di stabilità.
È vero
che il momento in cui un atomo instabile decadrà non è prevedibile,
ma una cosa è certa: decadrà. Inoltre, il decadimento rispetta
una precisa legge statistica.
Questa
legge può essere descritta tramite l’equazione differenziale che
ha questa soluzione:
Se
l’universo fosse lì da sempre non avremmo più radioattività: il
decadimento apparterebbe al passato remoto.
Anche
la teoria del Big Bang sposta il problema.
Ammesso
e non concesso (ma molte religioni concedono) che tutto sia iniziato
con il Big Bang, rimangono le domande: Cosa o chi lo avrebbe
causato?
E da
dove è venuta la materia iniziale da cui si sarebbe sviluppato?
Secondo
lo scienziato italiano Zichichi possiamo perfino sapere quanto pesa.
Alla
domanda su cosa mai ci sia oltre i confini dell’universo la
risposta data da Zichichi è: il nulla.
Ma non
si confonda il nulla con il vuoto (il vuoto è qualcosa e occupa
spazio).
Il
nulla è qualcosa che non conosciamo.
A noi
piace fare l’esempio del sogno.
Quando
si sogna – a parte i rari sogni coscienti – c’è un solo modo
di sapere che si tratta di un sogno: svegliarsi.
Nel
sogno tutto appare assolutamente reale.
Ma dove
si trova lo spazio del sogno e quanto in esso contenuto?
Dove
sono gli oggetti e le persone che mentre sogniamo sono per noi del
tutto reali? Inoltre, cosa mai c’è oltre lo spazio delimitato del
sogno?
Quello
spazio onirico non è da alcuna parte.
Ci
appare reale, ma è solo nei nostri pensieri.
Questo
esempio forse ci aiuta a comprendere l’universo e quanto in esso
accade.
È come
se fossimo il sogno di Dio (o chissà – se ci è concessa una
battuta – l’incubo).
È da
sciocchi credere che Dio abbia un corpo, per quanto spirituale, e che
occupi uno spazio.
Rasenta
la blasfemia.
Dio non
è in un universo materiale o spirituale, altrimenti quell’universo
sarebbe il contenitore di Dio.
Piuttosto,
è l’universo che è in Dio.
“In
lui infatti noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”
(At 17:28, PdS).
Non ha
senso alcuno tradurre questo passo con “mediante lui” (TNM).
Il
testo originale greco non lascia dubbi: ἐν αὐτῷ (en autò),
“in lui”.
Siamo,
per così dire, il sogno di Dio.
Ma la
materia è reale?
Se un
mattone ci cade in testa non abbiamo dubbi.
Ma
qual è l’elemento più piccolo che costituisce quel mattone e noi
stessi?
Una
volta si sarebbe detto l’atomo.
Nella
teoria atomica di un tempo l’atomo era ritenuto indivisibile per
definizione.
Si
scoprì poi che l’atono ha una sua struttura interna: è cioè
composto da particelle più semplici, che vennero inizialmente dette
“particelle subatomiche”.
Queste
poi vennero chiamate “particelle elementari”.
Dopo le
scoperte iniziali di elettrone, protone e neutrone, il numero e la
tipologia delle particelle elementari crebbero in modo continuo.
Si rese
necessario dedicare allo studio delle particelle una nuova
branca della fisica: la fisica delle particelle.
La
fisica delle particelle è la branca della fisica che studia i
costituenti fondamentali e le interazioni fondamentali della materia.
Alcune
delle particelle che venivano considerate elementari si rivelarono a
loro volta composte di particelle ancora più elementari.
Va
notato che il termine particella non è del tutto adeguato:
la meccanica quantistica ha eliminato la distinzione tra particelle e
onde che aveva caratterizzato la fisica del 19° secolo.
In
senso stretto, il termine particella non è del tutto
corretto.
Gli
oggetti studiati dalla fisica delle particelle obbediscono ai
principi della meccanica quantistica.
Come
tali, mostrano una dualità onda-corpuscolo, in base alla quale
manifestano comportamenti da particella sotto determinate condizioni
sperimentali e comportamenti da onda in altri.
Nella
fisica classica con “materia” genericamente si indica qualsiasi
cosa che abbia massa e occupi spazio, escludendo
l’energia dovuta al contributo del campo delle forze.
Questa
definizione non è più adatta per la moderna fisica atomica e
subatomica, per la quale lo spazio occupato da un oggetto è
prevalentemente vuoto, e l’energia è equivalente alla massa
(E=mc²).
Si può
invece adottare la definizione che la materia è costituita da una
certa classe delle più piccole e fondamentali entità fisicamente
rilevabili.
In
parole povere, andando sempre più nel sottile per scoprire da cosa è
composta la materia, ad un certo punto non troviamo più entità con
massa e che occupano spazio, ma onde di energia.
Fede e
conoscenza non sono in contrasto, ma la conoscenza non è affatto un
requisito della fede né, tantomeno, della salvezza. Paolo, che di
certo era uomo di grande fede, riconobbe: “Ora conosco in parte”
(1Cor 13:12).
L’antico
patriarca ebreo Abraamo è definito “il padre di tutti quelli che
hanno fede”. (Rm 4:11, TNM).
Eppure,
Abraamo – trasferendosi verso la Palestina – “partì senza
sapere dove andava” (Eb 11:8).
Abraamo
fu “dichiarato giusto per le opere” – non per la conoscenza –
perché la sua “fede operava insieme alle sue opere”
(Gc 2:21,22, TNM).
E che
conoscenza poteva mai avere la pagana “donna cananea” a cui Gesù
disse: “Donna, grande è la tua fede” (Mt 15:22,28)?
Probabilmente
non aveva mai neppure letto un solo versetto della Bibbia.
E di
certo non aveva la minima conoscenza della Bibbia il pagano
centurione romano di cui Gesù disse:
“In
nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande!” (Mt 8:10).
In
Israele c’erano allora i “dottori della legge” (Lc 5:17),
tra cui gli scribi che facevano per professione uno studio
sistematico della Toràh (i primi cinque libri della
Bibbia) e la spiegavano. Ma a quel centurione pagano del tutto
ignorante di Bibbia fu riconosciuta più fede che a tutti quei gran
dottori.
Eppure
c’è ancora chi pensa che “acquistare accurata conoscenza della
verità insegnata nella Bibbia è essenziale per essere salvati”
(La Torre di Guardia del 1° dicembre 1989, pag. 11,
§ 7), arrivando al punto di affermare che “la vera fede si
basa sull’accurata conoscenza”. – Perspicacia nello
studio delle Scritture Vol. 1, pag. 35.
L’equivoco
nasce dalla non comprensione del significato di “conoscenza”
secondo la Bibbia. Intendendo la conoscenza in senso occidentale,
ovvero intellettuale, si insiste sullo studio.
Non
è affatto vero che “la vera fede si basa sull’accurata
conoscenza”.
La fede
non si acquista, la fede è un dono: “Il frutto dello spirito
[di Dio; ovvero la sua energia o forza] è […] fede”
(Gal 5:22, TNM).
Si
può studiare quanto si vuole e si può anche arrivare a credere, ma
la fede è altra cosa:
“Tutto
dipende da Dio che ha misericordia, e non da ciò che l’uomo vuole
o si sforza di fare”. – Rm 9:16, PdS.
Come
intendere ciò che dice la Bibbia in Rm 10:2? Vi si legge,
riferito ai giudei:
“Hanno
zelo verso Dio; ma non secondo accurata conoscenza” (TNM).
Non
si faccia l’errore di intendere qui la conoscenza all’occidentale,
ovvero quella che si acquisisce con lo studio.
Chi
insiste su questo tipo di conoscenza fa lo stesso errore di quei
giudei:
“Essi
non hanno capito che Dio mette egli stesso gli uomini nel giusto
rapporto con sé, e hanno cercato di arrivarci da soli”.
Lo
ripetiamo: si può studiare quanto si vuole e si può anche arrivare
a credere, ma la fede è altra cosa:
“Tutto
dipende da Dio che ha misericordia, e non da ciò che l’uomo vuole
o si sforza di fare”. – Rm 9:16, PdS.
Pur
essendo consapevoli che la conoscenza mentale o intellettuale (quella
che si acquista con lo studio, per capirci) non è un requisito della
fede, non dobbiamo demonizzare questo tipo di conoscenza.
Pietro
e Giovanni, due dei principali apostoli di Gesù, “erano popolani
senza istruzione” (At 4:13).
Ma
Paolo era “istruito secondo il rigore della” Toràh.
– At 22:3, TNM.
“La
conoscenza fa insuperbire” (1Cor 8:1, PdS), e questo è
un rischio, ma lo studio accurato ci permette anche di capire il
significato esatto dei passi biblici proprio come erano intesi ai
tempi biblici.
La
fede non s’impara.
Non si
può studiare per avere la fede.
“La
fede è un modo di possedere già le cose che si sperano, di
conoscere già le cose che non si vedono” (Eb 11:1, PdS).
Chi
scrisse questo passo fece, nella lingua originale greca in cui
scrisse, un’affermazione forte.
Disse
che la fede è ἔλεγχος (èlenchos) ovvero “prova”
delle “cose che non si vedono” (“l’evidente dimostrazione di
realtà benché non vedute”, TNM).
La fede
non cerca prove, la fede è in sé la prova.
Si
tratta della fede che Dio dona, non della credulità religiosa e
neppure del frutto di tanto studio.
“I
Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza”
(1Cor 1:22).
C’è
chi per credere deve toccare con mano, mettendo il dito nelle ferite
provocate dai chiodi; c’è chi ha una propria idea fantasiosa sotto
le mentite spoglie di una religione o di una filosofia; c’è poi
chi non crede.
Intanto
Dio “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i
buoni”. – Mt 5:45.
Qualcosa
di ben più importante della conoscenza
Paolo
scrisse ai galati:
“Non
conoscevate Dio” (Gal 4:8, TNM); poi aggiunse: ‘Ora
avete conosciuto Dio’ , e subito si corresse: “O piuttosto ora
che siete stati conosciuti da Dio”.
Da
questo passo possiamo comprendere due cose.
- Il significato di “conoscere” in senso biblico.Cosa significa essere “stati conosciuti da Dio”?Dio già conosce (nel senso di sapere) ogni cosa di ciascuno di noi: “Signore, tu mi scruti e mi conosci; mi siedo o mi alzo e tu lo sai.Da lontano conosci i miei progetti: ti accorgi se cammino o se mi fermo, ti è noto ogni mio passo.Non ho ancora aperto bocca e tu già sai quel che voglio dire” (Sl 139:1-4, PdS).In questo senso anche quei galati erano di certo già conosciuti da Dio, dato che ‘nemmeno un passero cade a terra senza che Dio lo sappia’ (Mt 10:29).In che senso allora quei galati erano “stati conosciuti da Dio”?La Bibbia stessa ci dà la risposta: “Se qualcuno ama Dio, è conosciuto da lui” (1Cor 8:3, TNM).Chi ama Dio entra in relazione con lui.Nella Bibbia la conoscenza non è quella mentale, ma quella relazionale.Ecco perché alle persone che vengono rifiutate Gesù dice: “Non vi conosco” (Mt 25:12, TNM).Biblicamente, conoscere Dio significa entrare in relazione con lui, non studiare quello che la Bibbia dice su di lui.
- C’è qualcosa di ben più importante che conoscere Dio.È che Dio conosca noi.La felicità non sta forse nella consapevolezza di essere importanti per qualcuno?A che ci serve tutta la conoscenza del mondo, perfino quella biblica, se poi Dio non s’interessa di noi?
Perché
allora questo noi incoraggiamo: Uno studio accurato della Sacra
Scrittura?
I
lettori dei tempi biblici non avevano bisogno di studi di teologia.
La
Bibbia parlava loro non solo nella loro lingua, ma anche nel loro
linguaggio.
Quei
fedeli erano orientali e semiti.
La
Bibbia è un libro orientale e semita.
Sia gli
scrittori che i lettori biblici erano orientali e semiti.
E
vissero alcuni millenni or sono.
Noi,
lettori occidentali e non semiti del 21° secolo, noi sì
che abbiamo bisogno di studiarne se vogliamo intendere nel
giusto modo la Bibbia.
Un solo
esempio per tutti.
L’espressione
di Luca 14:26 è scioccante, sconcertante e sconvolgente
per l’occidentale del 21° secolo:
“Se
qualcuno viene a me e non odia suo padre e la madre e la moglie e i
figli e i fratelli e le sorelle, sì, e perfino la sua propria
anima, non può essere mio discepolo” (TNM).
Ma chi
conosce il modo di esprimersi ebraico sa che nell’ebraico non
esistono le mezze misure.
L’occidentale
dice: amare qualcuno più di un altro, amare di più Dio, pur non
smettendo di amare moglie e famiglia; il semita diceva: amare uno e
odiare gli altri.
Il
semplice si scandalizza.
Chi sa
andare a fondo capisce
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